Nativi digitali vs immigrati digitali

Posted By Alba Barbieri on Gen 13, 2018 | 0 comments


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Le tecnologie sicuramente cambiano le persone. Ma c’è differenza tra l’essere nati in un’epoca precedente alla diffusione delle tecnologie e l’essere nati nell’”era tecnologica”? Per lo scrittore e ricercatore statunitense Marc Prensky la risposta sembra essere un forte e convinto “sì”. Egli infatti ha coniato l’espressione “digital native” (“nativo digitale”), utilizzata per la prima volta nel 2001 nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants”; con queste espressioni, intende diversificare due gruppi di persone: il primo, quello dei nativi digitali, identifica persone nate e cresciute assieme alle tecnolgie digitali quali computer, Internet, telefoni cellulari ed MP3; il secondo, ovvero gli immigrati digitali, indica un gruppo di persone che è nato precedentemente alle tecnologie digitali e si è abituato ad utilizzarle in età adulta.

Per una distinzione più precisa, si identificano nativi digitali coloro che sono nati dopo il 1995. Siamo in un’epoca in cui i due gruppi di persone descritti convivono e utilizzano entrambi le tecnologie. Ma quali differenze di utilizzo incontrano? I nativi digitali si approcciano a questi nuovi strumenti in modo totalmente diverso rispetto agli immigrati digitali. Per spiegare il diverso tipo di approccio, Prensky ricorre ad una efficace analogia, quella della lingua madre rispetto a lingue imparate successivamente. Per i nativi digitali la tecnologia è una sorta di “lingua madre”, appresa ed utilizzata fin dalla nascita; invece per gli immigrati digitali, essa è come “lingua straniera”, un nuovo linguaggio da imparare completamente da capo. Attraverso questa analogia, viene evidenziato il diverso sforzo che i due gruppi devono fare per utilizzare le nuove tecnologie: per i nativi digitali è uno sforzo quasi del tutto inesistente.

Anche dopo aver imparato questo nuovo modo di comunicare, restano comunque delle differenze di utilizzo, negli immigrati digitali rimane una sorta di  traccia dell’“accento nativo”, come appunto accade per le lingue diverse da quella madre. Questo fatto si manifesta attraverso comportamenti che comunque rimangono immutati nel tempo, per esempio l’immigrato digitale preferisce stampare le email e leggere il manuale prima di utilizzare un nuovo software.

Per quanto riguarda i nativi digitali, emergono nuove caratteristiche:

  • Pensiero veloce. Attraverso Internet, l’acquisizione di informazioni è diventata strettamente facile e veloce. Si ha quindi un cambiamento del persiero che da verticale diventa orizzontale, cioè più superficiale e meno approfondito. Ne derivano una riduzione delle capacità attentive e una minore memoria, a causa del sovraccarico informativo.
  • Multisensorialità. Costante bisogno di nuovi stimoli sensoriali per mantenere attiva l’attenzione.
  • Multitasking. Il cervello risulta impegnato in azioni simultanee; per esempio i nativi digitali studiano mentre ascoltano musica e chattano sui social network. Anche in questo caso la diretta conseguenza è un calo significativo dell’attenzione.
  • Connessione 24 ore su 24. Necessità di essere connessi ad Internet giorno e notte per controllare notifiche o messaggi.
  • Approccio open source e cooperativo. L’apprendimento non è più un’azione individuale ma avviene attraverso la condivisione delle informazioni sulle rete.
  • Linguaggio impoverito. Si scrive molto più spesso (messaggi, post…) ma si fa meno attenzione alla forma sintattica della frase e al lessico utilizzato. Il linguaggio viene semplificato e ridotto per velocizzare la comunicazione, ma ne deriva un forte impoverimento.

I due termini proposti da Prensky sono stati oggetto di molte critiche, poiché per esempio non tutti i giovani padroneggiano totalmente le più comuni competenze digitali. Prensky sottolinea quindi l’importanza di utilizzare le tecnologie digitali per aumentare le nostre abilità cognitive e per accrescere le nostre potenzialità. Per lui queste sono le caratteristiche della “saggezza digitale”.

 

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