Impatto psicologico di Internet: dalla personalità alle dipendenze

Posted By Alba Barbieri on Feb 26, 2018 | 3 comments


Tempo stimato per la lettura: 27 minuti

Introduzione

Ogni rivoluzione tecnologica ha portato con sé dei cambiamenti più o meno significativi nella vita delle persone. Nel dopoguerra, l’introduzione degli elettrodomestici nelle case, come ad esempio il frigorifero o la lavatrice, ha permesso un nuovo modo di vivere e ha modificato le abitudini delle persone, facendo anche risparmiare tempo ed energie. Per quanto riguarda il settore della comunicazione, la televisione ha cambiato il modo di ricevere notizie e di informarsi. Il rischio maggiore era forse quello di trascorrere troppo tempo in casa seduti sul divano, davanti a uno schermo, ma la televisione non accompagnava le persone ovunque si trovassero e in ogni momento della giornata; soprattutto agli albori, infatti, il palinsesto era ridotto a qualche ora nell’arco della giornata e i programmi non coprivano tutte le ventiquattro ore.

La tecnologia che è entrata in modo molto profondo nella nostra quotidianità e che, con i suoi vantaggi e svantaggi, ci accompagna ovunque e in ogni momento è quella di Internet. Ma quali conseguenze può portare questo nuovo modo di comunicare? Quali risvolti essa ha portato sulla personalità ed il modo di interagire tra le persone? Il post si pone l’obiettivo di rispondere a queste domande e di riflettere sul perché Internet possa sviluppare problemi di dipendenza e in quali ambiti online questo si verifica più facilmente.

 

Comunicare online

Da molti anni una branca della psicologia si occupa di studiare la formazione delle impressioni nei contesti faccia a faccia. Gli studi effettuati in questo campo hanno dimostrato come le persone siano quasi sempre irrazionali nel formare la propria idea di fronte ad una persona sconosciuta. È stato osservato che per costruire le nostre impressioni ci basiamo sugli indizi a noi disponibili, che spesso sono insufficienti a creare un quadro complessivo e veritiero.

A dimostrazione di ciò, uno studio molto semplice ma efficace fu condotto dopo la Seconda Guerra Mondiale dallo psicologo Solomon Asch. Egli dimostrò come si creano impressioni affrettate sulla base di troppo pochi indizi. Asch sottopose alcuni soggetti ad un semplice esperimento nel quale ad essi veniva descritto un uomo con alcuni aggettivi quali intelligente, abile, industrioso, caldo, risoluto, pratico e prudente. Successivamente è stato osservato come i soggetti avevano la tendenza ad immaginare il resto del quadro caratteriale e personale dell’uomo descritto, descrivendolo con altri aggettivi come onesto, affabile, saggio, simpatico, socievole e fantasioso. I soggetti hanno quindi inquadrato l’uomo descritto dagli sperimentatori come una persona positiva. Ma facendo più attenzione agli aggettivi elencati all’inizio dell’esperimento, si può notare come essi possano anche descrivere molto bene le caratteristiche di un ladro professionista, ma questo fatto sfuggì all’attenzione dei soggetti dello studio.

Una variante di questo esperimento mostrò che la modifica di anche un solo aggettivo nell’elenco poteva cambiare l’impressione generale dei soggetti. Sostituendo infatti “caldo” con “freddo”, i partecipanti percepivano invece una persona negativa. Questo effetto di “calore” o “freddezza” sembra molto influente sull’aspetto psicologico percepito dai soggetti.

Nella vita di tutti i giorni, il calore o la freddezza vengono rilevati soprattutto in base al linguaggio non verbale, per esempio attraverso le espressioni facciali, la direzione dello sguardo e il contatto visivo, la gestualità, la postura, il tono della voce. In un contesto tecnologico all’interno del quale la comunicazione è mediata da un computer e avviene a distanza, tutti questi indizi trasmessi dal linguaggio non verbale vengono meno. Agli albori di Internet, la comunicazione avveniva tramite email composte esclusivamente da testo. Come ci si aspettava, la comunicazione tra due persone appariva molto più fredda ed era difficile per gli interlocutori trasmettere empatia e minor freddezza. Nelle conversazioni faccia a faccia, utilizziamo inconsapevolmente gesti o interiezioni come “eh”, “oh”, “mmh”, che facciano capire il nostro accordo o dissenso verso l’interlocutore; l’utilizzo di queste espressioni è molto più difficile online e infatti esse risultano quasi sempre assenti, condizionando poi tutta la conversazione.

Negli anni Ottanta, l’informatico statunitense Scott Fahlman fu il primo ad introdurre ed utilizzare l’emoticon per eccellenza,  🙂 , in una email e da quel momento esse divennero decisamente importanti per comunicare il proprio stato emotivo assieme al messaggio, in modo sintetico tramite una breve sequenza di caratteri, tipicamente segni di interpunzione e lettere. (Per approfondire, Emozioni 2.0: le emoticon). Grazie a degli studi, è stato osservato che non solo esse sono molto utili per il mittente del messaggio, ma anche per il destinatario, poiché esse aiutano a crearsi delle impressioni riguardo il mittente. In un esperimento, ad alcuni studenti è stato chiesto di valutare la seguente email:

Data: 1 gennaio

Oggetto: richiesta

Salve, mi potrebbe inviare il nome e le informazioni di contatto di un tutor che mi può aiutare con il corso di contabilità? Grazie 🙂

I soggetti valutarono questa email e un’altra identica ma senza l’emoticon finale. Lo studio evidenziò che essa aveva avuto un’influenza nella formazione delle impressioni riguardo al mittente: gli studenti infatti valutarono come più simpatica ed amichevole la persona che aveva scritto l’email con l’emoticon. Ciò è dovuto al fatto che la faccina esprime un sorriso e quindi minore freddezza nei confronti dell’interlocutore.

Un’emoticon vale più di mille parole, per cui esse sono molto importanti soprattutto per soddisfare la cosiddetta “avarizia cognitiva”, termine coniato da Susan Fiske e Shelley Taylor, due psicologhe sociali. Questa definizione si riferisce al fatto che così come nella vita offline, anche online la nostra attenzione è sottoposta ad un sovraccarico cognitivo; per questo motivo, per risparmiare risorse, non ci soffermiamo ad approfondire le caratteristiche di ogni persona incontrata online, ma ci facciamo bastare pochi ed insufficienti indizi per crearci un’impressione generale, e questo processo è facilitato dall’utilizzo delle emoticon.

 

Presentarsi online: formazione delle impressioni

Quali indizi vengono usati per cercare di conoscere una persona online? Ancor prima di valutare ciò che c’è scritto in un messaggio, il primo elemento con il quale si viene a contatto è l’indirizzo email. Esso può influenzare le impressioni molto più di quanto si possa immaginare. Ad esempio, se abbiamo a che fare con un indirizzo come [email protected], possiamo ricavare da esso alcune informazioni, cioè che probabilmente la persona è un universitario e studia ad Harvard e ciò influenzerà le nostre impressioni o aspettative su di lui. Invece un altro indirizzo come [email protected] può trasmettere tratti narcisistici della personalità. In modo particolare, il dominio di primo livello cioè l’ultima parte a destra dell’indirizzo dopo il punto, identifica il settore a cui appartiene il proprietario; per esempio .edu, abbreviazione di “education”, fa riferimento alle università ed agli istituti di istruzione. Il dominio .com invece identifica il settore commerciale, mentre .org si riferisce alle organizzazioni senza fini di lucro.

Può accadere che si crei il proprio indirizzo in età adolescenziale, non tanto per inviare email ma poiché esso è necessario per iscriversi alla stragrande maggioranza dei social network. L’importanza della scelta dell’indirizzo viene percepita qualche anno dopo, quando si inizia ad avere a che fare con il mondo adulto ed il mondo del lavoro, all’interno dei quali le comunicazioni via mail sono spesso fondamentali; per questo motivo, molti in quel momento capiscono che l’indirizzo trasmette qualcosa di loro stessi, quindi optano per la creazione di un nuovo account di posta elettronica che trasmetta più serietà.

Un modo più diretto di presentarsi online è quello di creare il proprio sito personale. Esso però, a differenza delle email, può anche avere un pubblico di destinazione ben preciso, ma in realtà è accessibile a chiunque in qualunque parte del mondo, è sufficiente avere una connessione ad Internet. Per questo motivo, solitamente le home page personali sono molto generiche e trattano una presentazione delle caratteristiche principali e globali di una persona senza entrare troppo nel dettaglio della personalità.

Con la nascita dei social network, la creazione di un profilo è diventata ancora più accurata ed utile per potersi creare delle impressioni. Diventano così di maggior rilievo i cosiddetti “residui comportamentali”, termine che si utilizza anche in riferimento al mondo offline, cioè quelle tracce di noi stessi che sono disponibili anche quando non siamo presenti fisicamente. I residui comportamentali possono essere per esempio gli oggetti presenti nella stanza di una persona, oppure anche l’ordine o il disordine stesso della stanza. Questi sono indubbiamente indicatori di alcuni tratti della personalità e del carattere. Nel mondo online, tutto ciò che viene utilizzato da una persona è un residuo comportamentale; sia dall’indirizzo email che dal semplice apprezzamento di un post, ci si può creare delle impressioni.

I social network sono fortemente orientati a concentrarsi su sé stessi. Quando si crea il proprio profilo, si è spinti a completarlo il più possibile con le proprie informazioni, attraverso delle domande-guida come ad esempio “dove vivi?”, “quale scuola hai frequentato?” su Facebook. Ma tutte le informazioni testuali inserite sono valutate in un secondo momento da coloro che visitano un profilo; l’impatto più grande e di rilievo è dato dall’immagine del profilo. Essa è fondamentale per crearsi delle aspettative e con il crescente aumento dell’utilizzo dei social network, sono stati ad essa dedicati numerosi studi. In uno di questi, mediante l’utilizzo di strumenti di eye-tracking, è stato dimostrato che i profili con foto attraenti creavano più interesse nei soggetti osservanti, che diventavano quindi più propensi ad approfondire l’analisi del profilo andando anche a leggere le informazioni personali; ai profili con foto meno attraenti veniva dedicata molta meno attenzione da parte dei soggetti. Curiosamente, nei profili senza immagine, le persone si soffermavano comunque più tempo rispetto a quei profili con un’immagine poco attraente.

Rispetto al mondo offline, creare un profilo su un social network ha il vantaggio di poter dedicare ad esso del tempo per pensarci e costruirlo come meglio crediamo per ottenere una presentazione efficace. Attraverso un’analisi di alcuni profili reali, è stato dimostrato che le persone tendono a costruire il proprio profilo rispecchiando come esse sono realmente, senza particolari artifici, evidenziando i propri pregi e punti di forza.

Su Facebook, un indizio molto importante che influenza le impressioni è quello del numero di amici. Contrariamente a quanto si possa pensare, non sempre un numero elevato di amici è associato ad una maggiore popolarità ed estroversione del proprietario del profilo. In media, un profilo Facebook ha circa centotrenta amici, numero che può essere però leggermente più alto nel caso si tratti di un profilo di uno studente. Tuttavia, un numero troppo elevato può mettere in dubbio che cosa si intenda per “amicizia” sul social, e rivelare invece una “gara di popolarità” anziché un rapporto più o meno profondo con ogni amico (Per approfondire, L’amicizia online). Joseph B. Walther, professore della Michigan State University, mediante alcuni studi ha osservato che il picco di gradevolezza sociale e attrattività fisica era proprio di quei profili con circa trecento amici. Oltre quel numero, le persone venivano valutate come più estroverse, ma non necessariamente più gradevoli. Gli amici su un social sono importanti non solo nel numero ma anche per ciò che fanno sul nostro profilo. Nel processo di formazione delle impressioni, un utente osservatore è influenzato anche dai contenuti che i nostri amici pubblicano sulla nostra bacheca; se i post ed i commenti altrui sono concordi con le informazioni espresse dal proprietario del profilo, allora esse assumono un maggiore rilievo e conferiscono una maggiore attrattività verso il proprietario del profilo. In caso contrario, il proprietario risulterà meno attraente.

Durante un b, è più semplice gestire le impressioni generate nel proprio interlocutore grazie ai suoi feedback verbali o gestuali ma non solo; essendo nella stessa stanza o comunque nello stesso luogo dei nostri interlocutori, abbiamo ben presente l’utenza verso la quale ci stiamo rivolgendo e quindi è più facile calibrare il proprio modo di fare e di esprimersi. Ma in un contesto online, a distanza, ciò spesso è difficile. Il fenomeno che avviene è il cosiddetto “collasso del contesto”, cioè la difficoltà a mantenere una propria autenticità di fronte a dei gruppi di interlocutori molto diversi tra loro. Un profilo Facebook potrebbe essere utilizzato per mantenere i contatti con i propri amici più o meno stretti, familiari, colleghi, datori di lavoro, conoscenti. Avendo un audience multiplo, è difficile pubblicare contenuti che siano opportuni per ognuno di essi. Per esempio, per una foto di una festa tra amici può non essere opportuno che venga vista anche dal proprio datore di lavoro. Per questo motivo, molti utenti hanno risolto creando diversi profili propri, ognuno dedicato ad una precisa utenza. Alcuni social network, per esempio Facebook, permettono invece di segmentare la lista degli amici in più liste e di settare la visibilità dei post per ciascuna lista. Un altro modo di risolvere la questione da parte degli utenti è stato quello di creare una propria presentazione autentica e indifferenziata, a scapito magari di perdere qualche amico. Ma è risaputo che ogni essere umano non ha un unico “Sé”, quindi così come reagiamo diversamente in base alle persone che abbiamo davanti a noi, così è naturale regolare il proprio modo di manifestarsi in relazione a chi troviamo dall’altra parte dello schermo.

Nonostante le persone tendano a rispecchiare sé stesse nel profilo di un social, delle volte può capitare di sperimentare diversi modi di essere, cosa che risulta più facile fare online rispetto al mondo offline. Attraverso un social network si possono momentaneamente dimenticare quelle determinate caratteristiche fisiche che potrebbero metterci a disagio nella comunicazione con gli altri. Un altro vantaggio è quello di poter accelerare dei processi di cambiamento che in realtà sono tutt’altro che immediati; per esempio, la timidezza può essere mitigata tramite l’utilizzo di una chat al posto di una conversazione faccia a faccia.

Questo modo di mostrare e provare diverse sfaccettature di sé stessi, può in un primo momento sembrare un processo quasi “camaleontico” e poco autentico, ma in realtà la psicologia sociale ha dimostrato come sia necessario gestire più sfumature di sé stessi per avere una vita di successo. Nel corso della nostra vita siamo chiamati a ricoprire diversi ruoli (marito, amico, docente, volontario ecc.) e a intercambiare velocemente tra di essi, quindi i social network si rivelano essere un valido strumento per potersi narrare in modi differenti.

Può accadere che l’impressione che diamo agli altri nel mondo online sia errata e ciò è dovuto ad uno scorretto o poco attento utilizzo da parte nostra degli strumenti tecnologici, come ad esempio la tastiera di un computer o lo schermo touch di uno smartphone. Nel caso della tastiera, è facile premere per sbaglio il tasto caps lock ed INIZIARE A SCRIVERE TUTTO IN MAIUSCOLO. Ciò appunto può avvenire per errore, ma il nostro interlocutore percepirà un modo poco educato di comunicargli il messaggio, poiché lo interpreterà come una frase urlata. Nel caso invece dei touch screen, sono frequenti i refusi, i quali possono far trasparire una poca attenzione da parte di chi sta scrivendo nei confronti di chi riceve il messaggio, mentre invece si tratta solo di errori di digitazione su schermi troppo piccoli per pollici troppo grandi.

Oltre ad aver portato dei cambiamenti nel modo di relazionarsi delle persone, Internet ha anche portato una forte problematica che riguarda la persona stessa in relazione con la rete: la dipendenza.

 

Lato oscuro di Internet: la trappola della dipendenza

Nonostante tutti i vantaggi che può portare, Internet ha anch’esso il suo rovescio della medaglia e può portare a delle situazioni negative. La dipendenza è una di queste.

“Un anno fa ho abbandonato Internet. Ho pensato che mi stava rendendo improduttivo. Ho pensato che era privo di senso. Ho pensato che stava corrompendo la mia anima” (Paul Miller)

La citazione dello scrittore Paul Miller è molto forte. Essa ben rappresenta il problema di attaccamento e dipendenza che può in alcuni casi creare Internet, a causa della connessione ventiquattro ore su ventiquattro che la nostra quotidianità odierna richiede.

Nel 1995, agli albori di Internet, lo psichiatra Ivan Goldberg utilizzò per primo l’espressione “dipendenza da Internet” (“Internet Addiction Disorder”, in acronimo AID), ma lo fece in modo ironico poiché non si pensava che questo potesse diventare un vero e proprio problema. In realtà, molti dei sintomi riscontrati in alcuni soggetti considerati dipendenti, erano comparabili a quelli dei disturbi legati al gioco d’azzardo patologico, come descritto nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (“Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, DSM), utilizzato per  classificare e diagnosticare disturbi mentali e psicopatologie. L’ultima edizione di questo libro, la quinta (DSM-5), contiene nell’appendice un riferimento alla dipendenza da Internet, ma non esistono ancora dei risultati convincenti per poter inserire questa voce in modo vero e proprio nel manuale.

Sono stati condotti alcuni studi a riguardo. Per esempio, la psicologa Kimberly Young, esperta di disturbi da dipendenza da Internet e comportamenti online, sulla base di un questionario relativo alla dipendenza dal gioco d’azzardo, ha costruito un test per analizzare alcuni soggetti e valutare se essi fossero dipendenti o meno dalla rete. Alcune domande per esempio erano:

  • Hai già compiuto diversi tentativi per controllare, interrompere o ridurre l’uso di Internet, senza riuscirvi?
  • Ti senti inquieto, depresso, nervoso o hai sbalzi d’umore quando tenti di diminuire o interrompere l’uso di Internet?
  • Ti capita di rimanere online più a lungo di quanto avevi intenzione di fare?
  • Hai messo in pericolo o rischiato di perdere una relazione significativa, il lavoro o opportunità di studio o di carriera a causa dell’uso eccessivo di Internet?

Il questionario era strutturato in otto domande e una risposta positiva a cinque o più quesiti, segnalava la dipendenza del soggetto. Le domande sono state pensate facendo riferimento a dei criteri utilizzati per diagnosticare casi di dipendenza dal gioco d’azzardo, da alcool o da sostanze stupefacenti. Sia questi disturbi che la dipendenza da Internet, sono valutati sulla base di alcuni criteri:

  • Tolleranza
  • Sintomi di astinenza
  • Ricadute
  • Mancanza di controllo
  • Conseguenze negative sul lavoro, a scuola o nelle relazioni interpersonali
  • Incapacità di smettere o ridurre l’attività, nonostante i danni evidenti

I questionari strutturati con questi criteri sono in grado di valutare alcuni aspetti concreti  che si riflettono sul soggetto, come i risultati negativi, l’uso compulsivo, la salienza, la regolazione dell’umore, il comfort sociale, i sintomi di astinenza, la fuga.

Ma quali sono nello specifico gli ambienti virtuali che creano dipendenza? Si possono raggruppare in tre grandi categorie: i giochi online, i social network, le aste online.

 

I giochi online

Fin dallo sviluppo dei primi giochi online, era già chiaro che il loro utilizzo avrebbe occupato molto del nostro tempo. Con il progredire delle tecnologie, le migliorie grafiche e progettuali hanno fatto sì che il numero dei giocatori online diventasse molto consistente. I giochi che assorbono più tempo alle persone sono i cosiddetti giochi multigiocatore di massa, in particolare quelli composti da giochi di ruolo. I giocatori possono creare il proprio avatar e personalizzarlo in un numero infinito di modi e poi prendere parte al gioco vero e proprio attraverso missioni ed obiettivi da raggiungere molto spesso assieme ad altri giocatori.

L’essenza stessa di questo tipo di svago può portare alla dipendenza perché le persone sono attratte dal fatto di poter raggiungere dei risultati, e i giochi online permettono di fare ciò: ci si deve ingegnare per risolvere missioni difficili, ma non impossibili, ottenere dei premi oppure organizzarsi in squadre per sconfiggere i nemici. Un altro aspetto da non trascurare è quello della natura immersiva di questo genere di attività, dovuto alla grafica attraente ed accattivante che può immergere la persona nella sessione di gioco a tal punto da creare in essa uno stato psichico che inibisce gli stimoli esterni. In questo modo, il giocatore può anche non avvertire bisogni fisiologici come la fame e la sete, oppure può non accorgersi di ciò che accade intorno a lui. Ciò che invece stimola una persona a giocare di frequente è il fatto che su di essa si costruiscono delle aspettative da parte degli altri membri della squadra, e quindi essa è in dovere di esserci anche per sostenere gli altri.

Nonostante lo stereotipo di giocatore online sia quello di una persona molto solitaria ed introversa, le ricerche in questo campo illustrano l’esatto opposto. Le persone più a rischio di dipendenza risultano essere quelle più socievoli ed aperte verso gli altri. Se il gioco in questione segue quella direzione cioè è orientato alla socializzazione tra i vari giocatori, allora il rischio di dipendenza per le persone estroverse è molto elevato.

 

I social network

Quanto tempo trascorri sui social network ogni giorno? Le persone tendono a sottostimare la quantità di tempo speso su questo tipo di piattaforme. Un sondaggio sulla popolazione americana che prendeva come soggetti delle persone in una fascia di età che va dagli adolescenti ai cinquantenni, ha avuto come risultato il fatto che gli adolescenti ed i giovani adulti controllano il proprio account Facebook circa ogni quindici minuti. Questo dato è molto allarmante, perché indica che essi non riescono a concentrare la propria attenzione su ciò che stanno facendo per più di un quarto d’ora; gli studi di psicologia cognitiva hanno già ampiamente dimostrato come l’attenzione divisa su due compiti oppure il continuo spostamento di attenzione da una fonte di informazioni ad un’altra diminuisca le prestazioni di ciascun compito rispetto a quando ognuno di essi viene svolto singolarmente. Per esempio studiare ed avere in una finestra sul computer la home di un social, oppure interrompere la concentrazione impiegata nello studio per controllare le notifiche, richiede una maggiore attenzione per riprendere nuovamente l’attività lasciata in sospeso.

Quali sono i motivi che ci portano a trascorrere molto tempo sui social network? In base al carattere della persona, si ipotizza che gli estroversi vogliano mantenere e rafforzare i contatti con la propria rete amicale, in ogni momento della giornata, mentre per i più timidi sia più semplice gestire le conversazioni e quindi risulta più facile fare nuove amicizie. Indipendentemente dalla propria personalità, un altro fenomeno che porta a rimanere sempre connessi è quello della FoMO, acronimo di Fear of Missing Out (“paura di essere dimenticati”). Questo termine è recentemente entrato nell’Oxford English Dictionary con questa definizione:

“L’ansia che in quel momento possa verificarsi da qualche altra parte un evento interessante o eccitante, frequentemente generata da post visionati su un social o un medium”

In pratica i soggetti sentono il costante bisogno di controllare le notizie sui social network per sapere cosa stiano facendo gli altri e che cosa stia accadendo. Questo è un comportamento ossessivo e anche stressante, ma per il soggetto sarebbe ancora più angosciante rimanere offline e avere la costante sensazione di perdersi qualche notizia.

 

Le aste online

Un ambiente che spesso viene sottovalutato dal punto di vista delle dipendenze è quello delle aste online. Il sito più famoso e quindi più coinvolto è eBay. Ci si iscrive gratuitamente e si possono mettere in vendita i propri oggetti, mostrandoli mediante una o più foto corredate di descrizione del prodotto, scegliendo le condizioni di vendita. Allo stesso modo, si può acquistare navigando nel sito e analizzando i vari prodotti che è possibile acquistare. Gli oggetti disponibili per la vendita permettono agli utenti del sito interessati ad essi di diventare potenziali acquirenti. Assieme all’oggetto, viene riportata l’offerta più alta e il tempo rimanente per ulteriori offerte. Il meccanismo che si innesca nei compratori ossessivi è quello di dover avere a tutti i costi quel determinato oggetto. I soggetti mettono anche in pratica delle forme di autoconvincimento e di giustificazione per gli acquisti fatti: “Ho veramente bisogno di quell’orologio per aggiungere un pezzo alla mia collezione”, “Se riesco ad accaparrarmi l’oggetto, provo una forte eccitazione”. Sono frequenti anche gli sbalzi di umore da un estremo all’altro, per esempio una grande euforia per essersi aggiudicati un oggetto avendo fatto un’offerta migliore all’ultimo secondo prima dello scadere del tempo, oppure un profondo stato di rabbia perché qualcuno ha fatto un’offerta migliore della propria a pochi secondi dal termine della vendita. Da questi esempi, oltre ad emergere un comportamento di acquisto ossessivo e compulsivo, si evidenzia la conseguente dipendenza, infatti i soggetti che per qualche motivo non riescono ad accedere al sito di eBay per controllare le offerte, sostengono di provare stati d’animo quali ansia e stress.

 

Dopo aver identificato i maggiori pericoli di dipendenza, ci si può chiedere quali possano esserne le cause comuni. Sulla base di alcune ricerche sul comportamento dipendente da Internet è emerso che alcune persone sono più inclini a diventare dipendenti. Un individuo che ha già la tendenza verso alcuni problemi psicologici come depressione, scarsa autostima ed instabilità emotiva, può sviluppare più facilmente la dipendenza. Ma potrebbe essere vero anche il contrario, cioè che in realtà questi problemi psicologici siano la conseguenza dell’abuso di Internet. I problemi psicologici emotivi possono quindi essere sia causa che effetto della dipendenza.

Esistono anche delle prove neurali a sostegno del cambiamento dell’attività cerebrale per le persone affette da dipendenza da Internet. Attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI) è stato evidenziato come nel cervello vengano modificate delle importanti connessioni neurali riguardanti i pattern di attivazione cerebrali implicati nell’elaborazione delle emozioni e delle ricompense. In alcuni casi addirittura è stata rilevata una riduzione del volume della materia grigia, normalmente formata dall’insieme dei corpi dei neuroni. Un’altra modificazione importante è quella del sistema del neurotrasmettitore dopamina, impiegato nella percezione delle emozioni e delle ricompense.

Tutti questi cambiamenti fisici nel cervello sono molto simili a quelli riscontrati in soggetti con problemi di dipendenza da alcool, droghe o gioco d’azzardo. La dipendenza da Internet non coinvolge sostanze fisiche, però produce le stesse modificazioni cerebrali, quindi la ricerca sti sta spostando in modo tale da capire quali siano i meccanismi che stanno alla base di ogni disturbo di dipendenza.

Come si può guarire da questi problemi legati ad Internet? Alcuni stati, come la Cina, gli Stati Uniti, l’Olanda, la Corea del Sud, Taiwan e Regno Unito, hanno già attivato dei centri specifici per il trattamento di queste patologie. Le persone vengono accolte per un periodo più o meno lungo in base al livello del loro problema e seguono un programma di rieducazione basato su una rigida disciplina ed esercizi fisici quotidiani. L’obiettivo finale è quello di educare da zero i soggetti ad un uso consapevole della rete, senza trascurare la bellezza della vita offline.

In Giappone è molto diffuso il fenomeno dei cosiddetti “Hikikomori” (letteralmente “stare in disparte, isolarsi”); questo termine si riferisce a persone che si ritirano volontariamente dalla vita sociale, isolandosi in modo molto profondo. Con l’utilizzo della rete Internet, le relazioni interpersonali faccia a faccia vengono quasi interamente sostituite con quelle via chat. Un isolamento prolungato nella propria stanza o più in generale nella propria casa, può avere effetti molto negativi per la persona, la quale può arrivare a perdere le proprie competenze sociali e le abilità comunicative necessarie per interagire con gli altri. Considerando il fenomeno degli hikikomori come disturbo mentale o comportamentale, esistono delle cure che consistono in sedute di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci. Dall’altro lato, però, questo fenomeno viene anche visto nell’ottica di un problema di socializzazione, quindi il soggetto viene accolto in una casa di cura, assieme ad altre persone con lo stesso problema, all’interno della quale viene aiutato ad interagire con gli altri.

Per quanto riguarda l’Italia, è attivo dal 2009 un Ambulatorio sulla Dipendenza da Internet e Cura-Prevenzione Cyber bullismo, fondato e tutt’ora diretto dallo psichiatra e psicoterapeuta Federico Tonioni. Nel 2016 esso è diventato il Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web, presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma. Si occupa di attività clinica ambulatoriale con adulti e adolescenti che presentano ritiro sociale, dipendenza da Internet e psicopatologie legate al cyberbullismo.

Un altro metodo terapeutico efficace e forse meno invasivo è quello della CBT (Cognitive Behavioral Therapy, “terapia cognitivo-comportamentale”). Essa consiste nell’adottare alcuni accorgimenti per valutare la quantità di tempo spesa su Internet, cercando di monitorarla per poi arrivare a ridurla. Alcune strategie della CBT sono molto semplici da adottare, per esempio fissare un timer o una sveglia per rendersi conto del tempo speso in rete. Questo metodo aiuta a prendere consapevolezza in modo concreto del tempo che passa, cosa che gli strumenti della rete sono molto abili a farci dimenticare. Un altro aiuto valido è quello dato da alcune applicazioni, che se installate sul proprio smartphone o scaricate sul proprio computer impediscono l’accesso ad alcuni siti “succhiatempo” per le fasce orarie o un intervallo di tempo indicati dall’utente.

I trattamenti farmaceutici possono essere un’ulteriore alternativa per la cura della dipendenza. Un farmaco, l’antidepressivo bupropione, è in grado di ridurre la sensazione eccessiva di bisogno e infatti viene utilizzato per il trattamento d’abuso di alcool o gioco d’azzardo; la sua somministrazione si è rivelata efficace anche nei casi di dipendenza dai videogiochi.

Qualunque sia la terapia scelta dal medico, la probabilità di risolvere il problema è molto alta. Internet, pur essendo in grado di indurre comportamenti simili alle dipendenze da sostanze, in realtà non è una sostanza fisica come la droga o l’alcool; una persona che diventa consapevole del proprio problema è già sulla via della guarigione, per poter condurre una vita normale, senza ansia o depressione.

 

Conclusioni

Internet è dannoso per le persone? Le opinioni a riguardo sono molto diversificate. Clifford Stoll, un astronomo americano famoso per la sua abilità nel dare la caccia agli hacker, ha dichiarato a proposito della rete:

“È un universo irreale, un evanescente tessuto fatto di nulla. Internet ci chiama a sé, facendo seduttivamente baluginare davanti ai nostri occhi il vessillo della “conoscenza-come-potere”, e così questo non-luogo ci istiga a rinunciare al nostro tempo sulla Terra”

Un’altra opinione negativa è stata espressa dallo scrittore statunitense Nicholas Carr:

“Negli ultimi anni ho cominciato ad avere la sgradevole sensazione che qualcuno, o qualcosa, stesse armeggiando con il mio cervello, cambiando la mappa dei miei circuiti neurali […]. Di solito mi risultava facile immergermi in un libro o in un lungo articolo […]. Oggi non ci riesco quasi più. La mia concentrazione comincia a scemare dopo una o due pagine”

Le opinioni riportate fanno riferimento ad alcuni fenomeni descritti nel post, come il fatto di rinunciare alla propria vita reale a causa della dipendenza dalla rete, oppure il fatto di perdere facilmente attenzione a causa di distrazioni quali notifiche e messaggi.

La scrittrice statunitense Sherry Turkle nel libro “Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri”, ha evidenziato come le conversazioni online compromettano un aspetto che è fondamentale nella comunicazione, ovvero il mantenimento del contatto visivo. Comunicare con una persona fissando la chat su uno schermo non ci permette di avere un dialogo così profondo come guardandola negli occhi.

Internet e le tecnologie correlate hanno avuto uno sviluppo davvero molto veloce, e altrettanto veloci sono stati gli sviluppi delle problematiche ad essi relative. Non è ben chiaro quale sarà il futuro della rete e quali altri cambiamenti porterà. Per la celebrazione del venticinquesimo anniversario della creazione del World Wide Web, da parte di Tim Berners-Lee, è stato creato un sondaggio riguardo il futuro di Internet; milioni di persone vi hanno partecipato e le opinioni sono state sia positive che negative. C’è chi pensa che si possa arrivare a situazioni disperate e quasi apocalittiche con gravi episodi di violazioni di privacy e furti di dati (fatti che avvengono già oggi), d’altro canto c’è chi invece sostiene che Internet sarà così inglobato e diffuso nella nostra vita che diventerà una tecnologia “trasparente”, cioè che verrà usata naturalmente in modo automatico e senza consapevolezza, come avviene ora per la corrente elettrica.

In ogni caso, Internet ha avuto uno sviluppo molto rapido nel giro di pochi decenni, ma il suo percorso sembra tutt’altro che terminato, anzi, sembra essere soltanto all’inizio.

 

Per saperne di più:

Bibliografia:

  • Patricia Wallace, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina Editore, 2017
  • Giuseppe Riva, I social network, Il mulino, 2017
  • DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina Editore, 2014

Sitografia:

3 Comments

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