I fondatori dei social media non usano i social media

Posted By Alba Barbieri on Feb 5, 2018 | 0 comments


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Può sembrare strano e forse in un certo senso lo è, ma i dirigenti ed i più alti esponenti dei social network limitano al massimo l’uso dei loro stessi prodotti e li utilizzano in un modo completamente diverso da noi “comuni mortali”. Per esempio, Mark Zuckerberg non gestisce da solo il suo profilo sul suo stesso social: egli ha un team di 12 moderatori a sua disposizione per cancellare commenti inappropriati e spam dal suo profilo, inoltre ha un gruppo di professionisti che lo aiutano a scrivere i post ed invece per quanto riguarda le foto egli ha assunto dei fotografi professionisti che possano immortalare i momenti importanti in immagini perfette e non casuali. Nonostante sembri che egli mostri pubblicamente gran parte della sua vita, in realtà le informazioni ed i fatti più privati non sono visibili all’intero pubblico di Facebook. Questo vale anche per gli altri membri del team, i quali hanno un settaggio della privacy di foto, post, liste di amici molto personalizzato e molto meno “pubblico” rispetto a quanto viene impostato automaticamente di default da Facebook ai profili.

Facebook non è l’unico social dove si verifica questo fenomeno, per esempio anche su Twitter il co-fondatore Jack Dorsey twittava molto spesso durante il periodo del lancio del sito, ma poi ha diminuito drasticamente questa attività, evitando sia le discussioni “via tweet” sia i tweet in diretta relativi a programmi televisivi. La sua presenza sul social oggi avviene in maniera sporadica con tweet molto rari.

In una conferenza svoltasi a Philadelphia nell’ottobre scorso, il presidente fondatore di Facebook Sean Parker ha ammesso di essere un obiettore di coscienza per quanto riguarda i social media. Durante il processo di sviluppo di queste applicazioni, il loro obiettivo era quello di trovare un modo per attrare l’utente ed utilizzare il suo tempo, cercando di mantenerlo “legato” alla piattaforma; essi sfruttarono il funzionamento dei neurotrasmettitori dopamina, i quali vengono prodotti dal cervello ricevendo input di gioia e piacere, come ad esempio quando si ricevono commenti o likes ai propri post. In questo modo viene creato un ciclo di feedback di validazione sociale all’interno del quale viene sfruttata la vulnerabilità della psicologia umana. Lo scopo principale fu quindi quello di creare dipendenza e non un benessere generale dell’utente utilizzatore. Gli sviluppatori erano ben consapevoli di questo, ma hanno comunque agito in quella direzione ed ora molti si sentono colpevoli del cambiamento nel modo di pensare delle persone a livello globale.

Come risposta, Facebook ha dichiarato che l’azienda è molto cambiata nel tempo dalla sua nascita ad oggi, ed ora ha delle grosse responsabilità; preso atto dell’importante ruolo che ricopre, ha fissato come grande obiettivo quello di migliorarsi. Una ricerca che l’azienda stessa ha messo in atto e poi pubblicato è stata quella di valutare come si sentono a livello emotivo i propri utenti; è stato evidenziato che gli utenti che utilizzano passivamente il social senza interagire con gli altri, dopo si sentono peggio; chi invece partecipa con un’interazione attiva con le altre persone, condividendo post e scambiandosi commenti, prova una sensazione positiva.

Adam Alter, psicologo statunitense, ha definito i social media come “sticky products”, ovvero “prodotti appiccicosi”, dai quali è difficile staccarsi, poiché questo è proprio il loro scopo. L’utente viene “agganciato” ed è indotto a trascorrere sempre più tempo sulla piattaforma, non tanto perché essa è piacevole da utilizzare e di conseguenza diventa redditizia, ma piuttosto perché essa crea dipendenza e quindi le persone non riescono a smettere di utilizzarla, e di conseguenza diventa redditizia.

Ponendosi dal punto di vista degli utenti, come ci si può salvaguardare? L’idea che ha avuto Kevin Holesh, uno sviluppatore di app, è stata quella di creare un’applicazione chiamata Moment, il cui motto è:

Put down your phone and get back to your life

Questa app è in grado di monitorare il proprio tempo speso al giorno usando lo smartphone. Il tempo medio giornaliero di utilizzo per un utente medio è di tre ore; l’applicazione gioca proprio su questo, poiché vedendo i dati reali sul proprio utilizzo ci si rende conto di quanto tempo si perde, tempo che si potrebbe impiegare in altro modo, sicuramente in una maniera più produttiva che guardare lo smartphone.

 

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