Effetto spettatore: perché pubblichiamo online al posto di intervenire?

Posted By Filippo Borgia on Gen 25, 2018 | 0 comments


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Questa estate ha fatto molto scalpore la morte di Niccolò Ciatti, ventiduenne di Scandicci (FI), aggredito da tre ragazzi ceceni in una discoteca di Lloret de Mar, in Costa Brava. La scena è stata ripresa dalle videocamere di sorveglianza del locale e ha mostrato come un nutrito gruppo di ragazzi abbia assistito alla morte di Niccolò senza muovere un dito. Amareggiato è stato il commento del padre:

La cosa triste è che tutti sono stati a guardare impotenti. Sarebbe bastato il loro intervento a risparmiare quelle botte che me l’hanno ammazzato.

Questo è solo l’ultimo di una serie di episodi inerenti ad un fenomeno che si è notevolmente amplificato con l’avvento dei social network: l’effetto spettatore.

Descritto per la prima volta nel 1968 dagli psicologi americani Darley e Latané, l’effetto spettatore è un fenomeno psicologico che si riferisce ai casi in cui molte persone assistono ad un fatto allarmante senza offrire nessun aiuto alla vittima: maggiore è il numero degli spettatori, minore sarà la probabilità che qualcuno intervenga.
Questo comportamento è dovuto al fatto che la responsabilità di agire si distribuisce tra tutti i componenti della folla, riducendo così il senso di colpa di ognuno. In altre parole, ci si affida alla reazione degli altri, convinti che siano più qualificati ad intervenire, ignorando che anche loro stanno aspettando che qualcuno si faccia avanti. Agire può significare mettersi in pericolo e rischiare di essere considerati responsabili di eventuali errori. È un circolo vizioso che porta l’intero gruppo all’immobilità.

Oggi però lo spettatore può scegliere un’allettante strada intermedia: limitarsi a riprendere la scena a cui assiste fisicamente e condividerla sui social network. Questo atteggiamento dà l’impressione di aver fatto qualcosa per aiutare la vittima, scaricando il compito di intervenire su chi tra i follower sia più capace di reagire efficacemente. Agire senza esporsi: è davvero il compromesso perfetto.
In realtà anche i follower non si sentono in dovere di agire dal momento che, potenzialmente, condividono tale responsabilità con migliaia di altre persone.

I social network hanno quindi amplificato la portata dell’effetto spettatore. Condividere le immagini può anche placare il senso di colpa, ma è pericoloso pensare che questo basti a cambiare le cose. A questo proposito sono da segnalare i progetti dell’organizzazione no profit WITNESS che cercano di aiutare le persone a tradurre in azioni concrete ed efficaci la loro condizione di “spettatori”. Il sito fornisce infatti consigli e istruzioni su come comportarsi eticamente su Internet e su come utilizzare i video per allertare le autorità e testimoniare, facendo però attenzione a non mettere ulteriormente in pericolo la vittima.

Non basta riprendere e condividere, bisogna agire.

Per saperne di più:

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